"Chiunque passa è considerato,
chiunque si ferma è considerato,
neppure uno può fallire."
- Walt Whitman
chiunque si ferma è considerato,
neppure uno può fallire."
- Walt Whitman
Quando sei bambino ti dicono che un giorno potrai votare e cambiare le cose. Diventi maggiorenne e ti dicono che adesso sta a te cambiare il tuo paese esercitando il tuo diritto al voto. Se critichi un partito per cui hai votato ti dicono che dovevi votare diversamente. Se ti lamenti di qualcosa ti dicono che dovresti pensarci quando sei in cabina. Io sarò stata in cabina elettorale due volte ma ci ho pensato. Non ci penso solo in cabina elettorale, ‘ché nelle decisioni prese in fretta vince il pensiero più recente, il sentimento più personale. Ci penso pressoché ogni giorno e quella che arriva in cabina è una mente per metà delusa, per metà rassegnata, consapevole di star dando un voto che non ha nessun potere di cambiamento, perché cambiamento positivo non è tra le opzioni. Anni fa pensavo che fosse più giusto votare comunque, anche in queste condizioni, piuttosto che astenersi. Lo pensavo perché sono stata cresciuta così, perché sono stata educata a prendermi la responsabilità delle mie scelte e anche non esprimersi è una scelta. Non esprimersi – senza offrire una concreta proposta alternativa – è scegliere di non avere voce in ciò che accade nel mio paese, scegliere di non provarci nemmeno, scegliere di lasciare la decisione agli altri, accettare qualunque risultato ottenga la maggioranza. Oggi non sono più così sicura. Ci affacciamo alla maggiore età e tutti iniziano a istruirci sull’importanza del voto e subito ci attaccano per le nostre opinioni inesperte, come i veterani nei boy scout che introducono i nuovi arrivati con scherzi che rasentano il bullismo. All’improvviso tutti hanno qualcosa da dire su cosa votiamo, come affrontiamo la politica, cosa pensiamo della situazione del nostro paese. Raggiungiamo la maggiore età ed ecco che ci viene riversato addosso un mare di colpe, abbiamo diritto al voto da un paio d’anni ma la situazione del paese è già colpa nostra, perché noi siamo il futuro e non abbiamo ancora cambiato il presente. Non che queste accuse non vengano indirizzate a elettori di ogni età, ma una delle affermazioni più assurde che si sentono è che la situazione in un certo paese sia colpa dei giovani. Una contraddizione, non votiamo da abbastanza tempo per esser stati la causa di una situazione attuale. Colpe o no, accuse o meno, diventati maggiorenni si apre il periodo del voto. Quando hai sette anni ti chiedono se hai il fidanzatino, quando ne hai dodici e giochi a pallone nelle strade deserte ti danno del delinquente, a quattordici tornano a chiederti del moroso, a sedici se ti vedono baciare qualcuno in pubblico ti fanno una lezione sulla decenza mentre vanno a trovare l’amante in albergo, a diciotto le domande volgono sulla patente e sul voto. Il nostro problema? La maggior parte di noi è troppo giovane per entrare in politica e buona parte di quelli che ci provano non vengono presi seriamente in base all’età. Le opzioni che abbiamo sono di partiti che le generazioni precedenti hanno formato e messo in politica e a noi non rimane che votare il meno peggio. Quand’è che qualcosa è andato storto? Quand’è che la politica ha iniziato ad essere una scala di “peggio e meno peggio” invece che persone più o meno competenti? Non è sempre stata così, non per tutti i paesi, alcuni stati hanno avuto dei bellissimi picchi di civiltà di cui le costituzioni nel mondo sono spesso testimonianza. Quando è andato storto qualcosa? Non lo so. Ma cosa è andato storto? La partecipazione della gente. L’impegno di un popolo, il commitment, per usare una parola inglese. In qualche momento della storia la gente è diventata troppo pigra per dare importanza alla politica del suo paese. Le persone hanno smesso di pensare rivoluzione, hanno sostituito gli orrori della guerra con la TV, ignorato la povertà seduti comodamente su un divano, dimenticato passate ideologie - che avevano il potere di distruggere popolazioni o creare nuove ere di cultura - e ora non sarebbero capaci di riconoscerle espresse in parole diverse su manifesti attaccati a edifici pubblici. L’idea di dire no è scivolata via, la fatica di portare avanti quel no per renderlo una realtà diversa troppo poco invitante paragonata ai talk show in TV, l’espressione ribellione è stata ricollocata e associata ad esagerazioni che non meritano seguito, la presa sul potere del popolo si è allentata, le mani troppo impegnate con lo smartphone. E ai giovani? A noi non è rimasto che votare il meno peggio, per il momento. Io oggi non sono più sicura che astenersi sia poi così negativo.
1 Commento
AleC
15/11/2017 14:59:53
Chapeau!
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Sara
Aspirante giornalista, blogger, scrittrice e viaggiatrice. Categorie
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